Rocco nasce a Montpellier, in Francia, da famiglia agiata, forse i Delacroix (Giovanni e Libera), che erano tra i maggiorenti cittadini e consoli della città.
Festeggiatissimo, come un segno miracoloso, veniva al mondo quando la coppia, molto avanti negli anni, aveva perso la speranza di avere un erede per l’antico casato. Ricevette una dura e religiosa educazione da parte della pia madre Libera, che lo indirizzò verso una profonda devozione alla vergine Maria a cui è associato in tutta l’iconografia che lo riguarda e che lo spinse sin dalla nascita a diventare un “servo di Cristo”, ossia a seguire Cristo nelle sofferenze terrene prima di accedere alla gloria celeste, come si può notare dalla croce rossa marchiata sul suo petto come simbolo di vocazione eterna.
Il suo sentimento religioso, i suoi comportamenti abituali, consolare il pianto dell’orfano, prestare assistenza all’infermo, dare da mangiare all’affamato, il suo carattere amabile nonostante le sue ricche origini, ricordava a distanza di un secolo San Francesco d’Assisi a cui Rocco era devoto.
A siffatte qualità d’animo con armonia si univano mirabili doti della mente grazie alla formazione sino all’età di vent’anni presso l’università di Montpellier, a cui affluivano giovani da ogni angolo della Francia. Perduti i genitori in giovane età, distribuì i suoi averi ai poveri e s’incamminò in pellegrinaggio verso Roma.
Arrivato in Italia, durante le epidemie di peste andava a soccorrerne i contagiati anziché fuggire i luoghi ammorbati. Verosimilmente l’epidemia più rilevante di cui si tratta era la peste che investì l’Italia nel 1367-1368, anche se Rocco aveva già conosciuto il drammatico evento durante la sua giovinezza, a Montpellier, prima nel 1348, poi nel 1361. Mentre la peste mieteva a migliaia le sue vittime, i colpiti non si contavano più e aumentavano i cadaveri insepolti, le città e campagne abbandonate, saccheggiatori e depravati, i medici indisposti a curare gli infermi, i sacerdoti insufficienti nel prestar conforto con la fede, si faceva strada quest’uomo, allora ventenne, che nonostante la sua persona debolissima (piccolo di statura, pelle bianca, mani sottili ed eleganti, capelli biondi e arricciati, occhi dolci e pensosi e una testa piccola e regolare) si sentiva ugualmente idoneo ad affrontare il grave pericolo di un lungo viaggio e dedicarsi alla sua vera vocazione: la carità, senza alcun limite di tempo e spazio.
Un fatto straordinario accompagnò la missione del giovane pellegrino ad Acquapendente (una delle poche città ricordate unanimemente da tutte le antiche agiografie): su invito di un angelo, egli benediceva gli appestati con il segno della croce e all’istante li guariva toccandoli con la mano taumaturgica.
Così, in breve tempo, l’epidemia si estinse. Intervenne in altre epidemie, occupandosi di malati che, a volte, venivano abbandonati persino dai familiari. Molti di essi guarirono in modo miracoloso, cosa che iniziò a far emergere i carismi del santo presso la gente.
Giunto a Roma tra il 1367 ed il 1368, vi rimase tre anni e qui curò, fino ad ottenerne la guarigione, un cardinale che lo presentò al papa. Anche il ritorno da Roma a Montpellier fu interrotto da un’epidemia di peste, in corso a Piacenza.
Rocco vi si fermò ma, mentre assisteva gli ammalati dell’Ospedale di Santa Maria di Betlemme, venne contagiato. Allora, un po’ per non aumentare il contagio e un po’ per tener fede al voto di anonimato che aveva fatto come pellegrino, si trascinò fino ad una grotta (tuttora esistente, trasformata in luogo di culto) lungo il fiume Trebbia, in una zona che all’epoca era alla periferia di Sarmato, sempre sulla via Francigena.
La tradizione indica a questo punto un cane (che tanti artisti dipingeranno o scolpiranno al fianco del santo) che durante la degenza di Rocco appestato provvedeva quotidianamente a portargli come alimento un pezzo di pane sottratto alla mensa del suo padrone e signore del castello di Sarmato, il nobile Gottardo Pallastrelli, che, seguito il cane per i tortuosi sentieri della selva, giunse in quella capanna dove Rocco gemeva per terra.
Soccorso e curato dal nobile signore, Rocco riprese il suo cammino. Gottardo voleva seguirlo nella vita di penitenza ma Rocco glielo sconsigliò.
Nonostante ciò, talmente commosso alla vista di quel mendico e affascinato dalle sue parole, cedette anch’egli ai poveri il suo patrimonio e si ritirò da pellegrino in quella capanna.
Gottardo divenne il primo biografo del santo pellegrino e (secondo la tradizione) ne dipinse il primo ritratto, tuttora visibile, affrescato nella chiesa di Sant’Anna di Piacenza.
Tuttavia il più antico simulacro che lo raffigura sembra proprio essere la statuetta ora conservata a Grenoble.
La peste intanto riapparse di nuovo violenta a Piacenza e Rocco ritornò in città sul campo d’azione; debellato definitivamente il morbo nella città e nei villaggi circostanti il Santo si ritirò nella selva, per occuparsi degli animali colpiti dalla peste, non più isolato bensì accompagnato da parecchi piacentini che professandosi suoi discepoli, mostrarono l’interesse di coadiuvarlo e trasmettere il suo coraggio e le sue parole.
Esaurito il suo compito, decise di ritornare in patria. Quello che sarebbe dovuto essere il ritorno a Montpellier però si interruppe a Voghera. In quelle regioni funestate dalla guerra giunse Rocco della Croce, anelante di ritornare in patria senz’altro chiedere che tranquilla ospitalità.
Dalla barba lunga e incolta, avvolto in poveri e polverosi abiti, con il viso trasfigurato dalla sofferenza della peste, giunse al confine della cittadina non sfuggendo né alla curiosità della gente né alla vigilanza delle sentinelle. Nessuno lo riconobbe, pur essendo i suoi parenti per parte di madre di origine lombarda: sospettato per la sua riluttanza e scambiato per una spia, fu legato e condotto dinanzi al governatore Guglielmo della Croce, suo zio paterno, che non lo riconobbe e nulla fece Rocco per farsi riconoscere.
Senza ulteriori indagini, senza processo finì in carcere senza ribellarsi, e vi restò per un lungo periodo (dai tre ai cinque anni, a seconda delle biografie) dimenticato da tutti.
La prigionia fu vissuta dal Santo in un tormentoso silenzio e nel desiderio di essere lasciato in solitudine nel carcere senza essere riconosciuto per vivere quei pochi giorni che gli restavano da vivere. Nonostante gli innumerevoli sforzi di un sacerdote, insospettitosi dello strano atteggiamento di Rocco durante le sue visite in carcere, di perorare la causa del prigioniero, il governatore non prestò ascolto; intanto nella cittadina si diffuse la voce che nelle carceri un innocente si lasciava morire.
Morì trentaduenne, nella notte tra il 15 ed il 16 agosto di un anno imprecisato tra il 1376 ed il 1379 nel carcere di Voghera, dove già nel 1382 era attestata la prima festa in suo onore.
La notizia della sua morte in Montpellier lasciò un intenso dolore che invase l’intera popolazione e lo sgomento per aver fatto morire un innocente in carcere. Tale commozione esplose quando il ritrovo di una tavoletta a fianco della salma sulla quale erano incisi a carattere d’oro il nome di Rocco della Croce e le seguenti parole: «Chiunque mi invocherà contro la peste sarà liberato da questo flagello» e il riconoscimento da parte di una dama probabilmente la nonna di Rocco, madre del governatore, grazie alla croce rossa impressa nelle carni dell’uomo, confermarono l’identificazione. Il compianto di un’intera cittadinanza fu il premio di tanta virtù e in sua memoria la salma su cui si scolpirono le parole rinvenute sulla tavoletta fu deposta nella principale chiesa di Montpellier.