I suoi genitori, Euco Sambiak ed Aclena Milar, abitavano in un castello nella città irlandese nota presso i latini con il nome di Rachau, e divennero ferventi cristiani grazie all’opera di missionari venuti dalla Gallia.
Da loro Cataldo ricevette l’educazione e l’amore per la preghiera, l’obbedienza, l’ordine, la mortificazione e lo spirito di sacrificio.
Alla loro morte Cataldo decise di donare tutta la propria eredità ai poveri. Divenne quindi discepolo di san Carthagh, abate di Rathan in Irlanda.
Ordinato prima sacerdote e poi vescovo da san Patrizio, decise di recarsi a visitare la Terra Santa in abito da pellegrino.
Secondo la tradizione, il santo sarebbe giunto a Taranto per volere divino: infatti si racconta che durante il soggiorno in Terra Santa, mentre era prostrato sul Santo Sepolcro, gli sarebbe apparso Gesù, che gli avrebbe detto di andare a Taranto e di ri-evangelizzare la città ormai in mano al paganesimo.
San Cataldo allora, salpando con una nave greca diretta in Italia, intraprese un lungo viaggio che lo portò a sbarcare nel porto dell’attuale Marina di San Cataldo, località a 11 km da Lecce che oggi porta il suo nome. Sempre secondo la tradizione, il santo avrebbe lanciato un anello in mare per placare una tempesta, e in quel punto del Mar Grande si sarebbe formato un citro, cioè una sorgente d’acqua dolce chiamata “Anello di San Cataldo”.
A Taranto Cataldo compì la sua opera evangelizzatrice, facendo abbattere i templi pagani e soccorrendo i bisognosi. In quel periodo si recò anche nei paesi limitrofi, tra cui Corato, in provincia di Bari, di cui divenne patrono avendo liberato la città dalla peste.
Morì a Taranto un 8 marzo tra il 475 e il 480 e fu seppellito nella chiesa di San Giovanni in Galilea, allora duomo della città, e lì il suo corpo fu dimenticato per parecchi anni.
La tradizione vuole che nel 1071, mentre si scavavano le fondamenta per la riedificazione della cattedrale della città distrutta dai saraceni nel 927, sia stata ritrovata una tomba importante, contenente una crocetta aurea, elemento comune a molti corredi funebri alto-medioevali, e un corpo, che si volle identificare con quello di Cataldo (successivamente al ritrovamento sulla crocetta d’oro fu incisa la parola CATALDVS).
Nel 1107 il vescovo Rainaldo traslò solennemente le reliquie sotto l’altare maggiore, mentre nel 1151 il vescovo Giraldo le collocò in un’urna d’argento nel transetto destro.